Chiesa di San Tomaso a Pigna.

S. TOMMASO A PIGNA (IM).

    I ruderi di S. Tommaso sorgono maestosi verso il fondovalle dell'alto Nervia, là dove nel pieno e tardo Medioevo si stendeva il Borgo Inferiore dell'abitato di Pigna, che decadde e scomparve in seguito all'arroccamento del tessuto urbano intorno al castello dei Ventimiglia e alla nuova parrocchiale di S. Michele (nota dal 1233).
    S. Tommaso seguì le sorti del suo borgo e conobbe un progressivo abbandono che ne ha tuttavia preservato la fisionomia medievale a tre navate e tre absidi.
    Restano in piedi la facciata - aperta da due portali - la navata sinistra con le cinque arcate e i rispettivi pilastri che la separano dalla maggiore, L'absidiola sinistra e buona parte dell' abside centrale. Dai pilastri in pietra legati con abbondante malta e coperti da capitelli scantonati si alzano lesene sottili intersecate da una semplice cornice, ma è verosimile che la copertura originaria fosse a tetto. Sotto le absidi (vien da dire sotto il prato in veste di pavimento) si avverte la presenza di una vasta cripta, segnalata da una sequenza di arcate cieche lungo l'emiciclo maggiore ma estesa almeno all'abside minore sinistra.
    Un'opportuna indagine archeologica potrebbe restituire l'immagine di una cripta dalla complessità rara per il Ponente (affine però a quella di S. Paragorio a Noli) e magari chiarire la cronologia del ragguardevole edificio, ancora piuttosto problematica anche per l'assenza di documenti (del tutto ipotetica è una sua origine benedettina).
    S. Tommaso è citato infatti la prima volta solo nel 1376, ma morfologia e materiali - con una significativa presenza di pietre tufacee tagliate con grande rigore - convengono a una chiesa della metà o del terzo quarto dell'XI secolo pienamente contestualizzata nella diocesi intemelia: si vedano l'impostazione della facciata, ad archetti binati e lesene che fasciano anche absidi e fianchi, l'arco leggermente falcato dei semplici portali e la tipologia dei pilastri, che richiama S. Michele a Ventimiglia e S. Giorgio a Dolceacqua.
    Sorprendente, e quasi "sperimentale", è piuttosto il sesto acuto delle prime quattro arcate dal fondo, mentre l'arcata presbiteri è a tutto sesto: la cosa ha fatto pensare a una seconda campagna di lavori, o a un cantiere assai prolungato nel tempo. È anche possibile che le maestranze siano ricorse all' espediente del sesto acuto per conferire la medesima altezza a tutte le arcate, indipendentemente dalla loro ampiezza. La campata verso il coro, è infatti più larga delle altre: se si fosse adottato l'arco tondo, le quattro arcate della navata sarebbero giunte a una quota più bassa, con effetto disarmonico.
    Bisogna comunque presupporre un restyling della seconda metà del XIV secolo, cui vanno attribuite una nuova intonacatura e la messa in opera sopra le chiavi d'arco di conci scolpiti con simboli elementari (croci, stelle) e soprattutto, sulle arcate e sulle lesene, di undici bacini ceramici secondo una formula del tutto inconsueta in Liguria, dove questi inserti sono sempre murati all' esterno degli edifici. Gli otto superstiti, frammentari, sono di produzione ispano-moresca del tipo "Pula", databili intorno alla metà del '300.

i resti della facciata visti dall'interno

dall'interno della navata sinistra

particolare di semicolonna con capitello

ombre e luci

la facciata

navata sinistra lato pilatri

navata sinistra lato archi a sesto acuto
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