AUTORE DELL’ANNO FIAF

"Quella fotografia che non ha carattere documentario"

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La FIAF rende merito al fotografo Giorgio Rigon di Bressanone (BZ) che ha sempre operato coerentemente con il pensiero estetico contemporaneo, un autore che, intento a soddisfare le proprie esigenze espressive, ha saputo utilizzare svariati processi linguistici senza per questo mai rinunciare alla specifica identità e all’effettiva autonomia della fotografia. La sua opera, caratterizzata da una costante ricerca di sintesi e da una rigorosa sobrietà di segni, rappresenta una simbologia idealizzata assolutamente originale, unica nel panorama fotografico italiano. Giorgio Rigon è uno studioso dei processi che stanno alla base della comunicazione visiva ed è un cultore della libera potenzialità espressiva dell’immagine fotografica. La sua designazione quale "Autore dell’Anno 2004" costituisce un atto pienamente dovuto, un giusto e meritato riconoscimento.

Fulvio Merlak
Presidente della FIAF

Trieste, gennaio 2004

"La ricerca dell’Armonia"

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Il lungo contatto con Giorgio Rigon nel ben delineato sistema che definiamo "Amatoriale" mi convince, oggi più che mai, che il concetto di Arte Fotografica è entrato nelle nostre menti in modo certo e definitivo.

Nello specifico caso di Rigon si può parlare di "armonia" come collegamento di elementi formali e del come le sue fotografie rispettino questo parametro. Se visualizziamo la sua opera sin dagli inizi, troviamo molti contatti con il modo di "riprendere" dei primi anni ‘70, la gente, la strada, la piazza, e quant’altro di interessante ed attraente capitava davanti agli occhi. La bellezza, ed in particolare la femminilità, ha sempre attratto Rigon. Le sue sono state scelte di attualità etica ed estetica. Contenuti fortemente sentiti nell’uno e nell’altro caso e, dal punto di vista della visibilità della sua opera, sperimentali. L’arte è anche sperimentazione, e certamente la creatività di Rigon è andata alla ricerca di proposte che appagassero chi vive la fotografia come osservatore ed apprezza espressività non usuali. Dare forma al messaggio è nel suo caso, far entrare in contatto attraverso la riflessione e la contemplazione.

Quel qualcosa di incantevole e di armonico che lo attira, esiste in tutte le foto, e c’è anche quel mistero dell’" aura", come direbbe lui, che è quel qualcosa di unico a livello di sensazione che l’opera d’autore offre. Sensazione ha assonanza con sensualità. Come non sentirla in tutte quelle ricerche effettuate sull’espressività del corpo e del volto femminile? E come non parteciparvi emotivamente? Corpi quasi sempre in movimento, in azione. Corpi che si vestono e si svestono, che camminano e si affiancano. Parti del corpo che bastano per delinearlo in tutta la sua carica erotica e giovanile. Parti stilizzate, re-inventate con la manipolazione in camera oscura, con luci e meccanismi appositamente studiati e costruiti in proprio per la realizzazione dell’effetto voluto.

"Il Bello, il Sensuale e l’Estetizzante nell’Arte e nella Fotografia". Questo è il titolo di una sua conferenza con la quale dimostra quale profondità abbiano i suoi studi e le sue certezze in merito e niente ci sia di improvvisato nella gestazione e nascita di ogni sua opera.

Il movimento di una minigonna può tradursi in quattro immagini in sequenza che mosso e sfocato non disturbano ma che anzi incentrano l’attenzione su quel meraviglioso gioco di forme viventi che in Rigon diviene stile personale e originale. Nell’arco temporale il percorso è lineare, non ci sono alti e bassi ne deviazioni dalla sua strada maestra. Solo ferme convinzioni. Non ne fa mistero, il suo è stato ed è un continuo trasmettere, dire, insegnare. E tutto questo perché altri imparino dai suoi concetti quanto vita, arte e fotografia, nel loro confondersi ed immedesimarsi, possano dare origine ad autori liberi, autonomi, inconfondibili. Come lui, appunto. Così è la figura del Maestro.

Giorgio Tani
Direttore del Dip.
Editoria della FIAF

Campi Bisenzio, gennaio 2004

"Il processo creativo"

(stralcio)

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Il processo creativo di Rigon è distinto in due fasi nettamente separate. Una lo scatto e l’altra la stampa. Nel fotografare troviamo l’uomo che cerca dentro alla vita quotidiana il proprio "Oggetto trovato". Il suo intenso atto fotografico è la cosciente esposizione della pellicola operata nascostamente per cogliere la freschezza di un’esistenza. Il momento dello scatto assume per Rigon il gesto dell’appropriazione del segno, fotograficamente inteso, che lui vede espresso dal soggetto. In questo senso quel momento assume per l’autore una forte valenza liberatoria, nella sua nascosta azione espressiva che lo mette in intimo contatto con le movenze seducenti del soggetto. Scatti fotografici silenti e fortuiti, nei quali egli è sedotto dal reale, che nella maggior parte dei casi non verranno mai stampati. Già fotografare è per lui un momento esaustivo ai fini del proprio rapporto con la realtà.

La stampa inizia dalla lettura selettiva e distaccata, anche nel tempo, dei negativi volta alla ricerca dell’impronta fotografica adatta ad essere finemente elaborata. In questa accurata rilettura, delle immagini, gioca potentemente la casualità che sempre anima la fotografia. Non è raro per lui vedere nel negativo anche quello che il suo occhio non aveva colto al momento dello scatto. Scelto il "segno" segue la fase dell’ideazione definitiva dell’immagine fotografica stampata. In questa fase egli affronta la sfida che gli impone il foglio bianco da impressionare e percorre metodologie analoghe alla pittura nel porre in relazione formale il "segno" col foglio di carta sensibile.

G.C. Argan ci aiuta a comprendere questa fase "Il segno è una forza che agisce in un campo ed i cui limiti sono i limiti della propria influenza. Più segni compongono un sistema; è sistema un insieme di segni interagenti. Anche la relazione di un unico segno col proprio campo costituisce un sistema.". Giorgio Rigon progetta e costruisce, per stampare le proprie immagini, degli ingranditori basculanti che gli consentono di deformare la figura del reale, intaglia complesse maschere che isolano sulla carta sensibile solo i frammenti desiderati, utilizzando anche diversi negativi per una stessa immagine. In questo modo egli annulla ogni presenza indesiderata e costruisce un’immagine essenziale che inibisce ogni mediazione nel significato da parte del contesto in cui sono state scattate le foto. Da qui ci spieghiamo lo specifico rapporto esistente tra la figura fotografica ed il candore della carta non impressionata. Oppure la scelta di inserire elementi grafici che frammentano il campo in spazialità ben precise dove il "segno" trova quella giusta proporzione che lo esprime, o il delicato intervento manuale nel tratteggiare a china forme che suggeriscono proporzioni che egli, pur sapendo, non ha voluto definire fotograficamente ma col proprio segno calligrafico. L’immagine stampata è quindi essenzialmente l’immagine da lui ideata; attraverso questo percorso creativo egli vive la metamorfosi che da sedotto lo trasforma in seduttore.

Conclusioni.

Quel che colpisce nell’opera di Giorgio Rigon è la sua totale improbabilità se riferita alle aspettative storico e critiche della fotografia italiana dell’epoca. Tanto improbabile da restare unica perché caratterizzata da uno stile così soggettivo che ogni emulazione scivola fatalmente nella imitazione. Nonostante questa forte innovazione, le sue immagini hanno la capacità di essere fruibili ad ogni livello culturale, seducono chiunque le guardi e parimenti reggono l’analisi critica più sofisticata. Infatti egli, con la scelta tematica, ha compensato la forte novità linguistica offrendo una naturale facilità di comprensione del messaggio. Un linguaggio complesso quello di Rigon, difficile come può essere il raggiungimento di un’armonia, la natura creativa delle sue immagini è esplicita, come è altrettanto evidente che in esse troviamo il linguaggio fotografico organizzato formalmente secondo i criteri tipici della pittura. Egli, nonostante la sua natura creativa, sente profondamente il segno fotografico e mai ha realizzato o realizzerebbe una fotografia iconica ingannevole tendente alla verosimiglianza del reale. Questo è all’opposto di quanto invece, sempre più spesso, accade nella fotografia contemporanea elaborata con mezzi digitali i cui autori si compiacciono nel perseguire la ingannevole verosimiglianza, con il risultato di demolire ogni attributo di autenticità del segno fotografico. L’introduzione del digitale nelle proprie immagini egli lo realizza con un pudore esemplare, anche qui esplicitando la natura del segno, creando la forma attraverso una bassissima risoluzione che evidenzia i pixel; è proprio questa evidenza che genera modernità e novità. In conclusione quale identità artistica emerge dalla sua opera? Il suo vissuto ci offre elementi che evidenziano un percorso evolutivo originalissimo che ha toccato interamente la sua persona. Nella propria soggettività ha vissuto i conflitti interiori che hanno coinvolto tutta la sua generazione. La fotografia è stato il linguaggio col quale è riuscito nell’ardua impresa di tracciare una linea armonica tra il proprio vissuto e la sua profondissima poesia.

Silvano Bicocchi
Docente di Fotografia

Nonantola, marzo 2004


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