La fotografia di Giorgio Rigon ricorda, per certi aspetti, la poesia ermetica. I segni grafici
essenziali, i cromatismi appena accennati, le forme ridotte a puri indizi della loro esistenza,
prendono il posto delle parole per esprimere una intensità di significati e di sensazioni che non sempre si riesce a filtrare nell'atto di guardare e, ancora di più, nel fotografare.
Rigon osserva la gestualità prodotta dal caso, ne cattura furtivamente un istante per coglierne il significato nel divenire, lo astrae dal contesto, epurandolo dagli elementi che lo appesantiscono e, infine, ne restituisce l'essenza. Le immagini che ne derivano, uniscono all'ideale estetico-formale della rappresentazione l'esigenza di ri-trovare e di ri-scoprire le situazioni ordinarie, interpretando il linguaggio delle emozioni con cui esse parlano agli uomini. Ed è con questo intento che l'universo femminile viene eletto a centro della riflessione estetica dell'autore.
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Le opere di Rigon sembrano riunire momenti artistici talvolta assai diversi, facendo dialogare la
concezione classica dell'armonia con la visione astratta Spazialista, oppure riportando alla
memoria certe icone di gusto "Pop".
Il suo mondo è popolato di frammenti, di "oggetti trovati", come l'autore stesso ama definirli,
e, attraverso il lavoro di sottile trasgressione del senso comune e di semplificazione
della realtà, riesce a distillare con leggerezza ed equilibrio, immagini che danno luogo ad una
sorta di "sineddoche visiva". Il solo frammento, la singola traccia di una gestualità diventano i
passi della danza che si compie attorno a lui, dalla quale si fa puntualmente trasportare e
affascinare, trascinando anche chi osserva nella magia delle sue delicate ed ammalianti "linee armoniche".
Emanuela Costantini
Marzo, 2003
Note critiche sull'Autore dell'Anno 2004
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