Fortezza - Franzensfestedi Flavio Schimenti, Laura
Facchinetti e Giorgio RigonIntroduzione
Un duplice patrimonio di memorie accompagna
l'esistenza di ogni manufatto architettonico: la «memoria storica», fatta
di studi, progetti, documenti archiviati presso le Istituzioni, utili a
ricostruire le vicende dell'opera, dalla concezione iniziale, alla
evoluzione costruttiva, fino alle ultime ristrutturazioni, e poi la
«memoria d'uomo», patrimonio effimero, non documentato, spesso fantasioso,
costituito dalla somma di tutte le sensazioni e le emozioni dei personaggi
la cui vita, in qualche modo, è stata legata allo stesso manufatto. E'
proprio quest'ultima componente del patrimonio a far sì che l'opera
continui a vivere nella coscienza collettiva, ad alimentare le suggestioni
popolari, ad offrirsi a poeti e letterati affinchè dalla cronaca si
trascorra alla storia e da questa alla leggenda. In definitiva, è la
memoria d'uomo che rende vitale l'opera architettonica e ne perpetua il
fascino. La Fortezza di Francesco 1°, anche sotto il profilo delle
memorie, è del tutto singolare. A fronte di un poderoso capitale di atti
storici, diligentemente custoditi nell' "Österreichisches
Steatsarchiv-Kriegsarchiv" di Vienna, e di una ormai ricca serie di
monografie che ne documentano le caratteristiche tecnico-costruttive, il
complesso fortificato è privo di quella particolare categoria di
conoscenze affidate alla memoria dell'uomo.
In effetti, una collettività, per conservare la memoria del vissuto e
per tramandarla, deve poter vedere, toccare, raffrontare cose ed
esperienze, lavorare di fantasia, ma sempre su elementi visibili e
palpabili e, sotto questo aspetto, la Fortezza, al di fuori della propria
immagine esteriore, ha sempre celato gli aspetti visuali del proprio
interno, soprattutto da quando fu declassata a deposito. Dal lontano
1882, cioè da quando sono mutate le esigenze difensive del Deutscher Bund,
una guarnigione organica, un'unità militare ben identificata di stanza
permanente nella Fortezza non c'è più stata; vero è che numerosissime
compagini vi si sono avvicendate per garantire l'impenetrabilità del
complesso, ma ognuna, una volta assolte le incombenze del turno
quindicinnale, si smembrava ed ogni militare faceva rientro al reparto di
appartenenza. Troppa dispersione perché le tante, fugaci suggestioni
individuali lasciassero traccia nella «memoria dell'uomo». C'è da dire,
inoltre, che la consegna del silenzio su tutte le operazioni che
avvenivano all'interno del manufatto militare ha sempre rappresentato un
punto d'onore, prima per i Kaiserjaeger, poi per gli alpini subenetrati
nelle stesse mansioni. Se da un lato pochi hanno potuto descrivere e
raccontare, dall'altro è proprio l'esiguità delle testimonianze e delle
memorie che alimentano la fantasia popolare ed ha avvolto, in un'unica
aura di mistero, sia i manufatti attivi e ben conservati sia i superbi
ruderi restituiti alle forze rimodellatrici della natura. Queste, più o
meno, sono le riflessioni che gli ufficiali in attività ispettiva vanno
ripetendo, ineluttabilmente, e chissà da quanti anni, durante il lento
ascendere lungo la scalinata tra Forte Basso e Forte Alto. In quei
momenti, così favorevoli alla meditazione, il razionale e l'irrazionale si
fondono in uno scenario severo ove il rigore scientifico delle poderose
camere di combattimento, delle sapienti murature poligonali, delle ardite
caponiere, delle tortuose vie coperte, delle innumerevoli feritoie, lascia
il posto alla pura visione estetica. Non per niente nella locuzione «Arte
Militare» è implicito il concetto di scienza affidata al genio e all'estro
creativo di pochissimi condottieri. Dal filo di questi pensieri è
difficile poi tornare alla realtà quando, al termine della buia salita,
I'improvviso "Alto là!" della sentinella di turno t'impone di richiamare
alla memoria la rituale «formula di riconoscimento», senza la quale un
perentorio "Fermo o sparo!" si abbatte sullo sprovveduto ispettore in
guisa di intimidazione risolutiva e immutabile, comune a tutte le Forze
Armate del mondo, che suggella lo spirito e la lettera di ogni
«consegna». Certo, con l'introduzione della tecnologia elettronica
anche la sorveglianza armata ha cambiato i propri metodi, la sentinella
classica, vigile in ogni tempo dall'altana o dalla garitta, si è
trasformata, anche nella Fortezza, in un piantone che controlla una serie
di monoscopi. Nel silenzio della notte non echeggia più il solitario e
romantico "Chi va là!", contro gli intrusi, per fortuna improbabili; ora
interviene una riserva armata, sollecitata da un allarme elettronico.
L'evoluzione è di alto profilo, sia sul piano delle condizioni di vita del
soldato d'oggi sia per l'efficienza del servizio di sicurezza, ma si è
smarrito quell'addestramento «all'eroismo individuale» che formava il
carattere dei soldati e motivava l'orgoglio di aver operato in solitudine
e con autorità entro le severe mura asburgiche. Se è l'evoluzione
tecnologica l'auspicabile futuro delle Forze Armate, non sarà lontano il
momento in cui il deposito munizioni potrà trovare un sito più idoneo e
razionale del manufatto di Francesco 1°. Allora l'aura di mistero della
Fortezza potrà essere integrata dalle suggestioni visuali e tattili che
ognuno di noi potrà esperire nella metodica esplorazione del suo
interno. In altre parole, potrà avere inizio quel processo d'accumulo
della «memoria d'uomo», essenziale per assicurare la fama di ogni grande
complesso monumentale. Qualunque forma assuma il progetto futuro, si
dovrà tener conto della primaria necessità di salvaguardare i valori
storico-culturali della Fortezza, con attenzione al severo aspetto
esteriore, la cui alterazione determinerebbe il decadimento dei valori
armonici, non meno che al prezioso patrimonio architettonico interno, che
non ammette contaminazioni stilistiche, pena la definitiva perdita di
quell'aura storica che rappresenta l'aspetto peculiare dell'antica
struttura difensiva.
Gen. Giorgio Rigon Bressanone, 5 marzo 1998
(consiglio per la lettura del febbraio
1999) |