Se non sapessimo che la fotografia qui riportata raffigura il sommo artista Lucio Fontana, ripreso dal grande fotografo Ugo Mulas, potremmo pensare che si tratti del ritratto d'un tappezziere intento nel suo lavoro quotidiano, visto da un amico che, tanto per non fare una fotografia convenzionale, lo ha ripreso, capricciosamente, in controluce.
Questa semplice constatazione mi dà lo spunto per parlare della
conoscenza.
Certo, la fotografia viene osservata, esperita, goduta comunque da tutti ma con vari livelli di sensazione e di soddisfazione.
Che Fontana, in quella fotografia, sia percepito come un tappezziere, anziché come un artista, dipende da differenti livelli di esperienza conoscitiva: c’è l’elementare conoscenza di chi sa come si svolge il lavoro del tappezziere, ma c’è anche la conoscenza di chi ha maturato nel tempo ed ha approfondito la storia dell'Arte Contemporanea ed è consapevole che Fontana, nel percorso creativo, attraverso i movimenti del
Ready Made, di
Dada, dell'
Informale e dell'
Espressionismo Astratto, è giunto allo
Spazialismo ed al
Concettuale, fino alla geniale intuizione di sfruttare la terza dimensione in una superficie pittorica, usualmente destinata all'espressione artistica in due sole dimensioni.
Poi c'è la conoscenza e la consapevolezza di chi è il fotografo Ugo Mulas che, dal secondo dopoguerra ai primi anni '70, ha vissuto in simbiosi con i più grandi artisti dell'epoca, ha instaurato un vero e proprio processo di empatia con ciascuno di loro, ne ha approfondito le diverse poetiche, ne ha documentato fotograficamente l'operato, incrementandone il vigore attraverso una personale visione fotografica.
Nel ritratto di Fontana, anziché presentare le sembianze dell’Artista in modo icastico e convenzionale, ha voluto registrare, simbolicamente, l’atto gestuale che ha introdotto nell’Arte figurativa il concetto fisico dell’
Opera Aperta. Che una fotografia, secondo uno slogan di qualche anno fa ormai consumato, sia
capace di esprimere di più che mille parole può essere vero ma, come mille parole possono essere gettate al vento e cadere nel vuoto se indirizzate alla persona priva di conoscenze, così una fotografia fa esprimere, alla stessa persona, solo quattro parole:
“non mi dice niente”, laddove, una persona aperta ai temi dell’Arte Contemporanea, può leggere e commentare la stessa opera esprimendosi con almeno le 150 parole che, in questo stesso testo, sono servite per l’esegesi dell’opera di Mulas.
Dobbiamo screditare un luogo comune: quello che afferma essere l’immagine fotografica completamente autoreferente e autosufficiente ai fini della comunicazione con il pubblico, quasi che il suo potere semantico possa prescindere dalla conoscenza dell’autore, o da qualche ascendenza cui egli è debitore, che può essere un’opera letteraria o pittorica, un pensiero filosofico o, più semplicemente, un’esperienza di vita dell’autore stesso.
Lucio Fontana fotografato da Ugo Mulas nel 1965.
Ho dei dubbi, a questo proposito, che molte fotografie di illustri artisti possano essere recepite, interpretate ed ammirate senza prima aver approfondito la conoscenza spirituale di questi sommi autori o la lettura di supporti critici capaci di orientare il recettore verso l’empatia completa con le opere e con i loro artefici.
Colui che sottopone alla nostra attenzione le proprie fotografie aspira a non essere poca cosa per noi e sollecita noi a non essere poca cosa per lui; ci chiede uno sforzo di empatia e, attraverso le sue immagini, ci sceglie e ci privilegia come persone degne della sua comunicazione affettiva. Questa semplice riflessione si riferisce alla sfera dello spirito e, come tale, travalica di sicuro i semplici aspetti ermeneutici della nostra fotografia amatoriale. Quando ci troviamo davanti ad un autore che ha trasfuso nella propria opera tutto il background di sentimenti, di sensibilità, di carica umana, e ci chiede un apprezzamento critico, dobbiamo essere consapevoli della responsabilità che ci apprestiamo ad affrontare e, prima di considerare la sua opera, dobbiamo colloquiare con lui, penetrarne lo spirito o, quanto meno, avviare quel processo d’empatia che ci consentirà, alla fine, di capire, nel senso letterario, ossia di riempirci di lui.
Bressanone, febbraio 2009
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